Le infezioni nosocomiali non integrano una ipotesi di responsabilità oggettiva.

Le infezioni nosocomiali non integrano una ipotesi di responsabilità oggettiva.
26 Aprile 2023: Le infezioni nosocomiali non integrano una ipotesi di responsabilità oggettiva. 26 Aprile 2023

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6386 del 3.03.2023 si è pronunciata, nell’ambito della responsabilità sanitaria, sulla particolare questione relativa alla contrazione di infezione nosocomiale con conseguente morte del paziente.

IL CASO.  I parenti della defunta Caia avevano convenuto in giudizio la struttura sanitaria, presso la quale era stata ricoverata, per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito a seguito del decesso della loro congiunta dovuto a negligenza del personale sanitario e sopravvenuta infezione nosocomiale. Il Tribunale rigettava la domanda degli attori, seppur accertando il comportamento imperito e negligente dei medici, in quanto escludeva che potesse affermarsi con certezza la possibilità di sopravvivenza della paziente se fosse stata adeguatamente curata. 

I parenti della defunta proponevano quindi appello, che veniva però rigettato e veniva confermata la sentenza di primo grado.

LA DECISIONE. La Suprema Corte, con la sentenza n. 6386 del 3.3.2023, ha, anzitutto, osservato come il rapporto tra il paziente e la struttura sanitaria abbia natura contrattuale. Pertanto, l’autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente “per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale” e, quindi, soggiace alla relativa disciplina, anche in tema di onere probatorio.

Pertanto, sugli attori congiunti gravava l’onere di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, ovvero il fatto colposo, il pregiudizio che da questo fatto è conseguito al paziente-defunto e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno che risultava, nel caso di specie. La Suprema Corte ha affermato che tale onere probatorio risultava essere stato soddisfatto dai ricorrenti congiunti della defunta e che la Corte d’appello, invece, non avesse utilizzato quale modello di ricostruzione del nesso causale del “più probabile che non”, cui ricorrere al fine di verificare la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento di danno.

La Suprema Corte ha, quindi, affermato in punto di diritto che la prova del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e l’evento dannoso deve essere fornita da chi agisce per il risarcimento dei danni in termini probabilistici, e non di assoluta certezza.

Inoltre ha confermato che sullo specifico tema delle infezioni nosocomiali la relativa fattispecie “non integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva, mentre, ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria rilevano, tra l’altro, il criterio temporale – e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale – il criterio topografico – l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute etiologicamente rilevanti, da valutari secondo il criterio della cd. ‘probabilità prevalente’ – e il criterio clinico – che, in ragione della specificità dell’infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione era necessario adottare”.

La Suprema Corte ha, quindi, accolto il ricorso e rinviato alla Corte d’appello in altra composizione.

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